La Commissione europea ha migliorato le previsioni per la crescita dell’economia dell’Unione europea e della zona euro per il 2021 e il 2022. I dati sono noti ma incoraggiano sempre di più a pensare che il prossimo anno sarà quello decisivo per l’Europa. Se i finanziamenti del Recovery fund europeo arriveranno e gli Stati membri cominceranno a spenderli correttamente, nel terzo anno dell’ “era Covid” (il 2022) le cose andranno meglio sia sotto il profilo della produzione che dell’occupazione.
Secondo le nuove stime economiche internazionali, infatti, il Pil della Ue crescerà del 4,2% quest’anno e del 4,4% l’anno prossimo, mentre per quello della zona euro (che è il cuore economico dell’Ue) la crescita prevista per il 2021 è del 4,3% e quella per il 2022 del 4,4%. Nel 2020 per effetto della pandemia l’economia dell’Unione europea si è contratta del 6,1% e quella della zona euro del 6,6%. “Le economie di tutti gli Stati membri dovrebbero tornare ai livelli pre-crisi entro la fine del 2022” prevede ora la Commissione europea. Il miglioramento va di pari passo con l’accelerazione delle campagne di vaccinazione anti Covid, che permettono la graduale riapertura dell’attività economica.
La crescita sarà trainata dai consumi privati, dagli investimenti (soprattutto quelli pubblici spinti dal Next Generation EU) e dalla ripresa della domanda mondiale. “Ciò che ci porterà a ridurre il debito è il successo del piano di Recovery”. Le dichiarazioni del commissario europeo al Bilancio, Paolo Gentiloni, rilasciate in questi giorni, suonano chiare. L’applicazione del Next generation Eu in Italia e, soprattutto, un’oculata politica di spesa pubblica secondo criteri di investimento per la crescita, solo le sole leve che il nostro Paese ha per risollevarsi. E per trovare il modo di ridurre in maniera sensibile l’enorme debito pubblico.
Nel nostro Paese, stando ai dati di Bankitalia, alla fine del 2020 il debito pubblico si era attestato a circa 2.569 miliardi di euro. Una cifra enorme, pari al 157% del Prodotto interno lordo (Pil): la ricchezza prodotta in un anno nel nostro Paese. Un aumento dell’indebitamento resosi necessario per fronteggiare il blocco totale della produzione e dei salari a causa di lockdown e chiusure. Nel 2019, l’anno prima del Covid, il debito pubblico italiano era pari al 134% del Pil. Nell’annata della pandemia, il 2020, questo valore è schizzato in alto di 23 punti percentuali. In passato, perché si verificasse un tale aumento, c’erano voluti decenni. La situazione, dunque, è e resta estremamente delicata. Aggravata pesantemente dalle conseguenze della pandemia che si protrarranno nel tempo. Basti pensare che il Pnrr è spendibile fino al 2026: 5 anni per tentare di risollevarsi e tornare, quantomeno, ai livelli di benessere – già in calo – di prima del Covid.
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