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In principio era Carosello: storia della rubrica dedicata alle pubblicità

Nel 65esimo 'compleanno' del programma televisivo pubblicitario italiano un racconto che parte dalle origini

La televisione, oggi, ci propone gli spot pubblicitari dalla durata media di 30 secondi; ma in principio era il Carosello. L’idea, di introdurre all’interno dei palinsesti televisivi uno spazio dedicato alla pubblicità, risale al 1957; da quel momento, infatti, la televisione fu vista come importante mezzo per coinvolgere l’opinione pubblica nella scelta e l’acquisto di prodotti commerciali.

È la Rai che sul Programma Nazionale introduce un modo per inserire, tra una trasmissione e l’altra, un annuncio pubblicitario che fosse accattivante, divertente e che facesse un passo in avanti rispetto al tradizionale annuncio fornito dalla radio. Un alternarsi di personaggi, prodotti e storie, sulla scia di quello che era il film Carosello Napoletano; l’attività di un cantastorie, che si vede nella pellicola del 1955, viene riproposta attraverso brevi racconti, appassionanti e divertenti che si trasformano negli spot pubblicitari delle origini.

Dal debutto al successo

Il debutto del Carosello era previsto per 1° gennaio del 1957, ma la data ufficiale, alla fine, slittò al 3 febbraio. Alle 20.50, al termine del telegiornale, si apre il primo sipario che introduce il primo Carosello con le prime quattro pubblicità che entrano a far parte della televisione italiana. Si inizia con un cortometraggio della Shell Italia dal titolo Per guidare meglio; qui, il giornalista esperto di automobilismo, Giovanni Canestrini, fornisce consigli sulla sicurezza stradale. Il secondo ‘spot’ è per Saipo L’Oréal presentato da Mike Bongiorno in Un personaggio per voi. Segue il terzo prodotto della serie Quadrante della moda con Mario Carotenuto; e si termina con L’arte del bere in cui Carlo Campanini e Tino Bianchi prestano il loro volto a Cynar.

L’impatto che Carosello ebbe sugli italiani fu immediato; tanto da diventare una sorta di ‘sparti acque’ che segnava l’ingresso di nuove abitudini. I bambini andavano a letto dopo il Carosello e gli adulti miravano i loro acquisti anche grazie a ciò che proponeva la televisione; si può dire che nasce, proprio con questo spazio pubblicitario, un bisogno all’acquisto che esce fuori dai confini dei bisogni primari.

I personaggi diventati ‘simbolo’ di Carosello

Nei suoi vent’anni di storia Carosello ebbe la facoltà di creare personaggi rimasti, oggi, nella memoria della televisione italiana; solo per citare alcuni nomi: Aldo Fabrizi, Totò, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Raffaella Carrà. Ed oltre agli attori in ‘carne e ossa’ la nuova rubrica rese noti anche alcuni personaggi dei cartoni animati; uno fra tutti Calimero, il pulcino nero che rese celebre la frase per il detersivo Ava: “Ava come lava“. E come dimenticare i pupazzi, Topo Gigio per i biscotti Pavesini o l’ippopotamo per i pannolini Lines. L’idea geniale e risultata vincente del Carosello era quella di trasferire i generi più apprezzati in Italia, come avanspettacolo e commedia, per pubblicizzare un prodotto; fare pubblicità sì, ma divertire e, perché no, educare.

Verso la fine

Ovviamente anche il Carosello doveva sottostare ad alcune regole di trasmissione; il Codice di autodisciplina pubblicitaria, infatti, regolava cosa poteva o non poteva andare in onda. Anche qui, per fare qualche esempio, la biancheria intima era out, così come i costumi da bagno. Vietato poi l’uso di alcune parole, persino sudore o deodorante, troppo sconvenevoli. Regole ovviamente erano date anche rispetto alla durate di un episodio che doveva essere di 2′ e 15″ totali; suddivisi in 1 minuto e 45 secondi di spettacolo e 30 secondi di pubblicità.

Ma come la maggior parte delle storie anche quella del Carosello ebbe la sua fine e poi successiva evoluzione. A metà degli Anni ’70 la pubblicità cominciò ad essere mal vista e considerata un modo per creare bisogni vani e superflui. Il 1° gennaio del 1977 andò in onda l’ultimo Carosello; la chiusura è da attribuirsi all’insofferenza dei produttori a rimanere nelle ristrettezze dei limiti imposti; ma più semplicemente le nuove esigenze di consumo, più moderne e più evolute, non avevano più molta voglia di seguire l’intento pedagogico della rubrica. Da lì a breve andarono, dunque, definendosi i nuovi spot pubblicitari, ma questa è un’altra storia.

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