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Veronica Panarello, la Bruzzone: “No paragoni con Cogne, lei è stata lucida”

A La Vita in Diretta si è tornati a parlare della morte di Lorys Stival. Per l’omicidio del piccolo, è condannata a 30 anni di reclusione la madre Veronica Panarello. E’ lei, secondo i giudici, ad aver ucciso il figlio, trovato senza vita in un canalone, il 29 novembre del 2014. La donna è ora in attesa della sentenza della Cassazione. Dati i verdetti pressoché identici delle sentenze di primo e secondo grado, si può escludere un colpo di scena.

A pensarla così è anche la nota criminologa Roberta Bruzzone. Presente in studio, l’esperta afferma: “Ci troveremo presto davanti alla sentenza di condanna definitiva in Cassazione. L’avvocato della Panarello è stato smentito su tutto. Non ci sono dubbi sull’arma, sulla dinamica, sulla tempistica; sul fatto che lei fosse da sola sia prima dell’omicidio, che nella fase successiva del depistaggio“.

Il legame con Cogne

Il caso è stato da sempre paragonato a quello del delitto di Cogne e di questa associazione ne ha parlato anche il programma di Rai 1. Secondo la psicologa forense, però, le due dinamiche sono completamente differenti. “Veronica agisce in maniera lucida e deliberata, e poi depista le indagini gettando il bambino nel canalone, mentre la Franzone agisce d’impeto“. Sulla vicenda è intervenuto anche Daniele Scrofani Cancellieri, l’avvocato di Davide Stival, padre di Lorys nonché ex marito della Panarello. “Il caso di Veronica è diverso da quello delle altre mamme. Non si è mai pentita ed ha cercato di creare ombre, uscendo dal processo da innocente, accusando anche una persona che non c’entra niente”. Poi conclude: “Davide vuole sapere qual è stata la molla che ha fatto scattare Veronica. Non si è trattato di un raptus, ma un fatto voluto e che è durato per parecchio tempo“.

Veronica Panarello: ecco come ha ucciso il figlio Lorys Stival

Veronica Panarello è stata condannata a 30 anni di reclusione per l’omicidio e l’occultamento del cadavere del figlio Lorys Stival.  La Corte d’Assise d’Appello, lo scorso luglio, ha confermato la sentenza di primo grado. I giudici, accogliendo la richiesta dell’Accusa, il Pg Maria Aschettino e il Pm Marco Rota, hanno confermato la decisione di primo grado emessa il 17 ottobre del 2016 dal Gup di Ragusa, Andrea Reale, col rito abbreviato.

Per la giustizia, fu la Panarello che quella maledetta mattina del 29 novembre 2014 uccise il piccolo Loris, gettando poi il corpo nel canalone di contrada Mulino vecchio di Santa Croce Camerina e fece tutto da sola. La responsabilità “è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio“. Alla base del delitto, avvenuto strangolando il bambino con fascette di plastica da elettricista, il litigio di quella mattina perché Loris non voleva andare a scuola. Non si tratta dunque di un delitto premeditato.

Un dolo d’impeto, nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio nato con la madre, il contenuto è conosciuto soltanto all’imputata”, scriveva il gup Reale secondo cui l’omicidio sarebbe stato “dettato da un impulso incontrollabile, da uno stato passionale momentaneo della donna“. Dinamica, modalità e tempi dell’omicidio “appaiono dirimenti ai fini di escludere la circostanza della premeditazione”.

Il gup, nelle motivazioni della sentenza, affronta anche il tema della sanità mentale della donna, anche sulla base delle perizie mediche, parlando di “figlicidio per vendetta, successivamente ribattezzato sindrome di Medea”. E argomenta che, a parte “la presenza di tratti disarmonici di personalità” e “di labilità emotiva”, la donna non presenta “disturbi dell’area psicotica, della coscienza o delle percezioni”. Secondo uno dei periti, peraltro, “il disturbo narcisistico e istrionico” sono in relazione “a psicopatici bisogni di considerazione”, dovuti a una infanzia difficile.

 

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